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lunedì 20 agosto 2012

Sting, Pussy Riot, perbenismo e ipocrisia

La notizia ormai la conoscono un po’ tutti, ad ogni modo un riassunto dei fatti è d’obbligo:

Pare che il cantante Sting si sia esibito alla festa di compleanno della sorella di Putin, in Sardegna. Fin qui la notizia.

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Ovviamente sarebbe una notizia inutile ed abbastanza poco interessante se non venisse in seguito alla condanna delle Pussy Riot, ed alle dichiarazioni in loro favore esternate proprio da Sting.

Il punto è: può un personaggio noto (Sting) fare appelli a favore di “perseguitati” e successivamente esibirsi per la sorella del “persecutore”?

Beh, la risposta a mio parere non è semplice come appare.

Può un giornalista intervistare un pluriomicida e venire pagato per questo? Mi si dirà “Certo! È il suo lavoro!

Può Apple fare la guerra a Microsoft che è un suo azionista? “Certo, sono affari!”

Può qualcuno snobbare i prodotti italiani e poi lamentarsi che non c’è lavoro? “Certo! Ognuno compra ciò che vuole!”

Pare che chiunque abbia il diritto di essere ipocrita e contraddittorio. “Quasi” chiunque, Sting no.

Il buon Gordon infatti avrebbe dovuto smettere di fare il proprio lavoro (cantare è un lavoro non una missione), perché un tribunale russo ha dato una sentenza che lui non approva.

Posso anche essere d’accordo sulla tempistica poco opportuna (sfortunata), ma non riesco a capire in fondo perché non ci si sia scagliati contro altri casi ben peggiori.

Un rifiuto di Sting sarebbe stato meglio?

Immagino che avessero già preso accordi da mesi, e Mr.Sumner avrebbe dovuto telefonare a Putin (o chi per lui) e dire “io non canto per un russo!”?

Questo avrebbe aiutato “la causa”?

Sting avrebbe dovuto dimostrare che la lobby degli artisti è più forte di quella dei petrolieri russi?

Credo che abbiano già toccato il fondo con il caso Polansky…

A molti sfugge che la partita è ben più ampia, e che le punk russe non vogliono assolutamente uscir di galera, perché il loro messaggio ne verrebbe fortemente scalfito. Per quale motivo credete che non chiedano la grazia? Ovviamente Putin la concederebbe! Dimostrandosi così “magnanimo e disponibile” e distruggendo il senso delle loro proteste.

Un passo indietro di Putin farebbe più male che bene ai suoi oppositori, ma tutto questo ai populisti del 21° secolo importa poco. Quello che conta è leggere su giornali nazionali un elenco di tweet a caso.

Trovo molto più ipocrita definire “giornalismo” questa vergogna che il gesto di Sting.

martedì 19 giugno 2012

TG1 e tecnologia: accoppiata perdente.

Mettendo da parte le proprie preferenze e/o necessità in materia di informatica, chiunque segua un minimo il mondo della tecnologia ed abbia visto il TG1 di oggi (19/06) non può non aver subito uno shock.

Per tutti gli altri vado a riassumere i fatti:

La notte scorsa Microsoft ha presentato il suo tablet “Surface” più o meno all’una ora italiana. Come noto, è raro che la casa di Redmond produca hardware in proprio e in genere quando accade, la cosa merita attenzione (basti pensare ad xbox).

Il TG1 offre un servizio sul Surface, del quale non spiega assolutamente nulla, a parte il definirlo la risposta ad iPad, al quale “somiglia troppo”.

Tra le similitudini viene addirittura elencato il display uguale! Anche gli Apple fan più accaniti a questo punto si saranno fatti una risata… Il Surface ha un wide screen di 10,6”, mentre la tavoletta di Cupertino un 4:3 di 9,7, anche a vederli in foto ci si accorgerebbe che hanno forme diversissime (oltre il retina)!

Se poi la somiglianza vista dal TG1 è il fatto che entrambi i display siano piatti, credo che dovranno aspettare un po’ per imbattersi in tablet dallo schermo concavo (ammesso che abbiano un senso).

Poi nulla, nessuna notizia. A parte che “esiste una versione pro” e “in più ha la porta USB”.

Nulla sul fatto che Surface sarà sia in versione ARM che x86. Nulla sul fatto che sarà il primo tablet con un OS completo e studiato apposta per questa interfaccia (come è noto iPad utilizza iOS non OSX).

Poi la fantastica chicca finale: “si tratta di scegliere tra il genio di Steve Jobs e l’ingegno di Bill Gates”.

A questo punto alcuni saranno quasi svenuti dalle risate, ed altri avranno ripetutamente sbattuto la testa allo spigolo della scrivania!

Qualcuno ha informato il TG1 che Gates non è più CEO di Microsoft da 10 anni e che Jobs è morto?

Probabilmente gli sarà sfuggita la notizia. D’altronde saranno stati troppo impegnati a trovare le “differenze tra Surface ed iPad”.

P.S. la cover multi touch è proprio una genialata…

giovedì 26 aprile 2012

I fatti nostri: La privacy ai tempi del web 2.0.

Orwell sarebbe molto soddisfatto di averci beccato alla grande, anche se con 30 anni di ritardo.
La domanda è: noi ne siamo altrettanto soddisfatti?

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Facciamo un passo indietro ed inquadriamo il problema alla luce degli ultimi avvenimenti:
Google ha appena lanciato il suo servizio di Cloud “Google Drive”, servizio fatto decisamente bene che altro non è che un’evoluzione del precedente Google Docs con supporto a diversi formati di file.

Il servizio di Mountain View consente la modifica online dei file e la condivisione con altri utenti come già faceva Docs, con la nuova possibilità di lavorare sui video.

Al di là di GDrive, il Cloud Computing è da un po’ di tempo la nuova realtà dello storage.

Come spesso accade in campo informatico e web in particolare, quello che al momento sembra assurdo nel giro di pochi anni è destinato a diventare ordinario. Sfido chiunque a non aver ritenuto risibile la prima proposta dei Chromebook (i laptop interamente web-based, senza disco rigido e con Chrome OS).

Qualche anno fa nessuno avrebbe pensato di affidare i propri dati ad un hosting web per poi usarli in maniera “cloud”. I problemi erano tanti: “cosa fare se non c’è la rete?”, “come la mettiamo con i tempi di accesso a file voluminosi?”, “i trasferimenti saranno sicuri su tutte le reti?”.

Molti di questi problemi sono stati superati nel modo tipico della net generation: non ci si pensa più.

  • A nessuno frega del problema che non ci sia linea, in fondo i Chromebook sono stati un flop e tutti abbiamo device con memoria interna: basta tenere sul terminale ciò che è necessario quando siamo in mobilità.
  • Come conseguenza del punto precedente, la velocità di download è meno pressante, e probabilmente faremo accesso alla nuvola solo sotto copertura wifi.
  • La sicurezza è un problema che non può essere risolto dall’utente, per cui dopo un po’ ci si convince che se il servizio funziona, deve essere sicuro.

Rimane però un problema: la privacy.

Il nuovo arrivato Drive riporta in auge l’argomento per via delle solite policy di Google:

“Quando carica o invia in altro modo dei contenuti ai nostri servizi, l’utente concede a Google (e a coloro che lavorano con Google) una licenza mondiale per utilizzare, ospitare, memorizzare, riprodurre, modificare, creare, opere derivate (come quelle derivanti da traduzioni, adattamenti o modifiche che apportiamo in modo che i contenuti dell’utente si adattino meglio ai nostri servizi), comunicare, pubblicare, rappresentare pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire tali contenuti.”

Come può un’utenza business accettare una tale licenza?

Non c’è dubbio che Google utilizzi queste prerogative per migliorare i servizi di pubblicità, ma è proprio necessario che leggano e traducano i miei documenti fornendoli anche a terze parti?

Al fine di inquadrare la filosofia privacy di Big G vorrei ricordare le dichiarazioni di Sergey Brin (co-fondatore di Google): in proposito Brin ha dichiarato che Facebook e Apple “uccidono il web” perché non consentono ad altri di accedere ai loro dati.

Appare evidente quindi che per lui l’approccio corretto è quello “zero privacy”.

Google ormai è entrata nelle nostre vite con servizi eccezionali (primi fra tutti Android e Gmail) e noi abbiamo abdicato alla nostra vita privata per poterne usufruire. I servizi si sono fatti sempre più completi e variegati, rendendoci di fatto meno percepibile che Google è e rimane una società che vive di pubblicità. È evidente che tanta grazia in qualche modo deve essere pagata, e noi la paghiamo con i nostri dati che consentono ads più precisi e con maggiori successi, quindi più appetibili sul mercato.

Un’ultima considerazione vorrei farla sul confronto tra Drive, Dropbox e Skydrive by Microsoft.

Credo che questo sia emblematico: nelle privacy policy dei due concorrenti di Drive è specificato che loro non diventeranno padroni di un bel niente e che non daranno nulla a nessuno se non per ciò che serve per il servizio o su nostra richiesta.

Andando nel particolare, in realtà i permessi sono abbastanza simili e d’altronde sono effettivamente necessari per consentire di salvare i nostri file sui loro server e condividerli con gli altri.

Quello che è diverso è lo stile:

Microsoft specifica “We also don't control, verify, or endorse the content that you and others make available on the service.” inoltre “You understand that Microsoft may need, and you hereby grant Microsoft the right, to use, modify, adapt, reproduce, distribute, and display content posted on the service solely to the extent necessary to provide the service.”.

Questo significa che MS non leggerà i nostri file e non userà il loro contenuto per fare pubblicità mirata ai nostri gusti. Ovviamente useranno per questo i cookies e i dati del nostro account, ma quello è scontato per ogni servizio di e-mail.

In sostanza la differenza è quella che passa tra una Web Company come Google ed una Software House come Microsoft. Per quanto negli anni ognuno sia entrato nel territorio dell’altro (MS con Bing e gli ads, Google con Android e Chrome OS), rimane una differenza di filosofia.

Potremmo dire che MS appartiene a quelle aziende della “vecchia scuola” quando gli utenti non avrebbero mai sottoscritto le odierne policy a cuor leggero.

Del resto i tempi cambiano. Orwell ne sarebbe felice, e voi?

mercoledì 25 aprile 2012

Un giorno sarò miliardario: Jobs vs Gates.

Ammettiamolo, ciascuno di noi ha avuto almeno una fase (per alcuni perenne) in cui si è detto “un giorno sarò miliardario”. D’altronde è anche abbastanza ovvio che i sogni si facciano in grande!
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Quello che vorrei analizzare però è la tipologia di miliardario che generalmente abbiamo in mente.
Non è una novità che alcuni personaggi rimangano nel nostro immaginario in modo decisamente più forte di altri, al di là del loro effettivo “valore”.
 
Indubbiamente è un fatto di carisma, e per quello c’è poco da fare: o lo si ha o non lo si ha.
Andando oltre l’empatia, rimane comunque un fatto “curioso”: tante persone oggi sognano di essere come Steve Jobs molto più che Bill Gates. Simpatia? Carisma? Capacità mediatiche? Forse.
 
Per dovere di cronaca il buon Bill è spaventosamente più ricco di quanto Jobs abbia mai immaginato, ma questo è indifferente. Superata una certa “soglia psicologica” l’uomo medio diventa un ricco.
Al di là di quanto possieda effettivamente.
 
Il fatto che molti sognino Jobs e molti meno Gates, va ben oltre le due persone specifiche, rappresenta due tipologie differenti di miliardario alle quali fare riferimento.
 
Faccio una breve analisi per chi non conoscesse bene le rispettive vite dei nostri ricconi:
 
Jobs è un ragazzo adottato da famiglia medio borghese, che si iscrive all’università e dopo un po’ la abbandona e vivacchia da hippy. Al college conosce Steve Wozniak (un vero genio dell’informatica) e dopo aver tirato su qualche dollaro con le bluebox (macchine per telefonare gratis costruite da Woz su idea di un altro collega), fonda con lui una società di informatica nel garage dei suoi genitori adottivi. Woz nel frattempo realizza il primo personal computer e la storia di Apple parte, supportata dalla eccezionale capacità di marketing di Jobs.
 
Parallelamente Gates studia informatica con gli amici Paul Allen e Steve Ballmer e proprio insieme ad Allen scrive l'interprete Basic per l’Altair, uno dei primi computer sul mercato. Lascia anche lui l’università per fondare la Microsoft in un ufficio ad Albuquerque che fa anche da casa per lui ed Allen. Ballmer li raggiungerà dopo.
 
A questo punto le storie dei due protagonisti si intrecciano, con Gates che dopo l’arrivo dell’Apple 2, alza il tiro e si presenta in IBM (allora i padroni del mondo) a proporre un sistema operativo chiamato DOS (sistema che non avevano ancora scritto) ed ottiene un contratto di licenza.
Senza scendere nei particolari Gates dimostra che non è solo Jobs a saper vendere.
 
Inizia poi la storia dell’interfaccia grafica che Apple ha copiato a Xerox e Microsoft ha copiato ad Apple… questa la sanno più o meno tutti e per chi volesse un po’ di informazioni consiglio la visione del film I pirati della Silicon Valley, o al limite un giro su wikipedia.
 
Da questo ridottissimo incipit delle rispettive carriere si evince la profonda differenza tra i due personaggi:
 
Gates è prima di tutto un tecnico, uno che scrive codici ed il cui algoritmo delle frittelle (non è roba che si mangia, riguarda l’ordinamento dei dati :D…) è rimasto il migliore per 30 anni.
Jobs è un imprenditore per come lo intendiamo oggi, un capitalista (per quanto filosoficamente dicesse il contrario), uno che ha delle grandi intuizioni e si circonda della gente giusta.
 
Il motivo per cui tutti sognano di essere Jobs è questo.
Analogamente il mito di Richard Branson è decisamente più forte di quello di Larry Page, per quanto oggettivamente Branson sia un vero morto di fame al confronto.
 
Tutti possiamo illuderci di avere idee geniali, non possiamo però illuderci di essere grandissimi programmatori,  pittori, o grandi strutturisti o chimici  ecc…
 
Diciamo la verità sognare è un esercizio di serenità, e immaginare di vendere dischi (come Branson) è decisamente più rilassante che pensare a notti insonni in uno studio di Albuquerque in mezzo al deserto a scrivere codici.
 
Insomma diventare miliardari sì, ma in maniera molto "easy"...
Sognare è gratis. Perchè complicarsi la vita?

mercoledì 28 marzo 2012

Black-out. Esegesi casuale di un brano semi-sconosciuto.

Eccomi qua a scrivere un nuovo post.
Fin qui niente di strano.

Invece qualcosa di strano c’è: non ho ancora scelto l’argomento.
In genere si pensa prima a cosa si vuol dire e poi si inizia a scrivere… in genere.

Stavolta ho deciso di scrivere giusto per far qualcosa, per non annoiarmi.
La luce è andata via da un po’ e pare che i super tecnici dell’Enel non siano abbastanza super da mettere tutto a posto in meno di mezz’ora.
Di conseguenza niente internet (lo sapevo che dovevo prendere il gruppo di continuità…), ma portatile operativo per qualche ora.

Quale miglior passatempo allora di battere un po’ le dita sulla tastiera?

La situazione mi ricorda una vecchia canzone di Guccini: Black-out appunto.

Per chi non la conoscesse/ricordasse, si tratta della “cronaca poetica” di una notte senza elettricità.
Credo proprio che parlerò di questo!
Metto il brano in sottofondo (i notebook sono proprio una figata) e via...

Scritta con il consueto stile del prof Guccini, è una canzone descrittiva ed evocativa.
“La luce è andata ancora via, ma la stufa è accesa e così sia,
a casa mia tu dormirai, ma quali sogni sognerai?
con questa luna che spaccherà in due le mie risate e le ombre tue,
i miei cavalli ed i miei fanti, il tuo Hesse sordo ed i miei canti,
tutti i ghiaccioli appesi ai fili, tutti i miei giochi e i tuoi monili,
i campanili, i pazzi, i santi e l’allegria”

Data la situazione si inizia a chiacchierare un po',
“e non andrà il televisore, cosa faremo in queste ore? Rumore attorno non si sente, giochiamo a immaginar la gente, corriamo a fare gli incubi indiscreti, curiosi d’ozi e di segreti”

Parlando quindi delle molteplici sfaccettature che la vita può assumere, dice:
“Avessi sette vite a mano, in ogni casa entrerei piano
e mi farei fratello o amante, marito, figlio re o brigante o mendicante o giocatore, poeta, fabbro, Papa, agricoltore.
Ma ho questa vita e il mio destino e ora cavalco l’appennino
e grido al buio più profondo la gioia che ho di stare al mondo, in fondo è proprio un gran bel gioco a far l’amore tanto e a non ber poco…”

Inevitabilmente il buio e l’assenza di rumori porta alla mente dell’autore i tempi passati, “un altro medioevo”, riuscendo ad evocare perfino i suoni  di quell'epoca 
"ritmi più lontani di bestie, legni, suoni umani,  odore d'olio e di candele, fruscìo di canapi e di vele"


Guccini però non è certo dedito ai facili sentimentalismi!

Si chiede infatti
“ma chissà poi se erano quelli davvero tempi tanto belli,                                  o caroselli che giriamo per l’incertezza che culliamo                                     in questa giostra di figure e suoni, di luci e schermi da illusioni,                        di baracconi in bene o in male, di eterne fughe dal reale                                che basta un po’ di oscurità per darci la serenità,                                   semplicità, sapore, sale, ritornelli”

Conclude quindi che non c’è alcuna necessità di vivere molte vite, ne basta una.
Una vita normale, piena di giorni comuni, intensi o pigri, ed accompagnata dalle normali emozioni, dalla tristezza, dall’ottimismo o dall’ironia.

In tutto questo chiacchierare evidentemente, il tempo passa veloce:
“lo so che è un pezzo che parliamo, ma è tanto bello non dormiamo; beviamo ancora un po’ di vino, che tanto tra due sorsi è già mattino…”

Trascorsa la notte, quando “tutto è ormai finito" ed "il vecchio frigo è ripartito”, conclude così:
“Lo so siam svegli ormai da allora, ma qualche cosa manca ancora;
finiamo in gloria amore mio... che dopo, a giorno fatto,
 
...dormo anch’io.”


P.S. essendo tornata la luce anche a casa mia, aggiungo un link youtube dove ascoltare il pezzo…

mercoledì 21 marzo 2012

AD MAIORA SEMPER... ANZI NO.

Rieccomi a scrivere su questo blog dopo un periodo di assenza: troppi impegni e poche idee che valessero una notte in bianco pur di essere pubblicate...

Oggi sono di nuovo qui sia perché il tempo non mi manca, sia perché ritengo che l’argomento interessi un po’ tutti... perciò bando alle ciance ed iniziamo!

Osservando il mondo che ci circonda, appare chiaro che la quasi totalità delle persone sogna spesso di migliorare la propria vita: che si tratti di andare sulla Luna o comprare un divano più comodo, ciò che conta è la tendenza al miglioramento. Ad Maiora Semper!

Questo carattere fondamentale, distingue l’uomo che lascerà un segno su questa terra, da quello che si guarderebbe bene dal lasciare un segno anche nel proprio giardino.

Vorrei però porre l’accento sul fatto che queste due tipologie di essere umano, abitano lo stesso pianeta, le stesse città, frequentano gli stessi luoghi e spesso vivono nelle stesse case.
Già. Ripensandoci, probabilmente il concetto di “quasi totalità” andrebbe ridimensionato.

In realtà per ogni uomo “ad-maiora” esiste almeno un “panta-rei” che cerca di frenarne ogni anelito di innovazione e di rischio.

Chiameremo per comodità “Soggetto A” il sognatore, e “Soggetto B” il distruttore di prospettive.
Per quanto il Soggetto A possa essere geniale, ci sarà sempre un Soggetto B pronto a dimostrargli che la sua idea sarebbe certamente fallimentare se accadesse un “Fatto X” (ebbene si l’algebra mi ha sempre appassionato…).

Spesso però il Fatto X è una cosa abominevole che renderebbe fallimentare anche aver fatto 6 al SuperEnalotto. Ciò nonostante il Soggetto B imperterrito snocciola una serie di congiunture apocalittiche che porterebbero inevitabilmente alla rovina del Soggetto A. Anzi, di ogni Soggetto A sulla faccia della terra!

È comunque necessario fare dei distinguo: quello di cui parliamo non è il sano realismo che ogni Soggetto A deve possedere. Quest’ultimo è necessario al fine di evitare spedizioni dirette sulla Luna a bordo di una Nissan Micra o enormi divani da pagare in 180 comode rate e che alla fine non entrano in salotto.

Il Soggetto B tipico è tutt’altro che realista.  È anzi affetto da una delle forme peggiori di pessimismo, quello di tipo “fifone”; ossia la paura di “disastrose conseguenze”.

È proprio l’alto numero di soggetti B ad impedirci quotidianamente di essere soddisfatti. Probabilmente anche Sir Mick Jagger doveva avere qualche parente/amico di tipo B che gli impedisse di “ottenere soddisfazione”…

Sulla scorta della mia esperienza personale di Soggetto A circondato da Soggetti B, mi permetto di pubblicare alcune considerazioni-suggerimenti, al fine di dare una mano al povero sognatore che ormai ha paura di sognare anche in fase REM.

Per prima cosa identificate il soggetto B. Una volta individuato il  nemico sarà più facile batterlo.
Potete facilmente riconoscerlo dalla fremente ricerca di uno stipendio fisso, dal terrore della parola “iniziativa” e dalla più completa avversione per il rock-blues (daccordo, questa non è una regola fissa...).
Una volta inquadrato un sospetto, per essere certi della sua identità vi propongo un test.

Provate a chiedere al soggetto se è disponibile per una vostra iniziativa imprenditoriale (aprire un negozio, un bar, una fabbrica di pannolini… quello che volete): Probabilmente vi dirà di sì.
I soggetti B infatti, si mascherano spesso da novelli Richard Branson. Il passo successivo perciò è quello di contestualizzare immediatamente la proposta: Un “domattina andiamo all’agenzia delle entrate” dovrebbe bastare.

A questo punto il vero Soggetto B cambia immediatamente espressione farfugliando ipotetici impegni sui quali non sa però fornire dettagli. Lasciatelo con la promessa di richiamare il giorno seguente.

Tranquilli, se siete stati abbastanza convincenti non sprecherete neanche lo scatto alla risposta. Il soggetto vi telefonerà per primo, elencando una parte delle congiunture apocalittiche di cui sopra…

FATTO! You’ve got an enemy!
Avete il vostro soggetto B.

D’ora in poi qualunque cosa vi dica consideratela come una puntata dello Zoo di 105: un mucchio di str…ate.

Consiglio però di non lasciar trasparire la vostra indifferenza nei confronti delle sue argomentazioni:
Una volta identificato il soggetto, discutere con qualcuno che ci deprime tutto sommato serve… per lo meno avremo modo di confrontare la forza dei nostri propositi.
E come è noto la "concorrenza" è sempre un bene. Anche quella delle idee.

venerdì 13 gennaio 2012

How old would you be if you didn’t know how old you are?

Quel geniaccio di Richard Branson tra una riflessione sul mondo ed un appello a favore dell’Africa, ha posto questa interessante domanda su twitter: 
Che età avreste se non conosceste la vostra età?
(onestamente suona molto meglio in inglese, ma rende l’idea anche così).

In pratica, quanto vi sentite vecchi (…how old eheheh), al di là della vostra età anagrafica?

Il tema è molto stuzzicante.
La risposta effettivamente non mi è ben chiara, tant’è che di primo acchito ho risposto “forse 16, forse 60”.  
Non si tratta però della solita trovata per farsi ritwittare da un VIP (tra l’altro eventualità scongiurata), ma di una reale condizione di incertezza che penso non appartenga solo a me ma anche a molti altri.
Pertanto ho ritenuto che l’argomento fosse degno di alcune riflessioni:

Il  parlare de “Le età dell’uomo” mi fa tornare in mente il titolo di un episodio di “Esplorando il Corpo Umano”, raccolta della quale posseggo tutti i volumi e che ritengo importante nella mia formazione tanto quanto Quark e i film di Bud Spencer e Terence Hill.
L’episodio riportava, tra l’altro, il noto indovinello della sfinge che per completezza riassumo di seguito:

“Qual è quell’animale che al mattino cammina su quattro zampe, a mezzogiorno su due, e la sera su tre?”

Altrettanto nota è la risposta: l’uomo. Egli infatti nella sua infanzia (al mattino) cammina a quattro zampe, nella maturità in posizione eretta ed alla sera (vecchiaia) si appoggia ad un bastone.
Questa era la visione dell’età dell’uomo nella società antica, e tale è rimasta fino alla permanenza della società rurale:

I giovani sono quelli che non producono, gli adulti quelli produttivi, i vecchi quelli che hanno smesso di produrre.

Semplice e brutale.
Oggi (per fortuna?) non è più così, si rimane improduttivi più a lungo del limite della giovinezza, e si resta produttivi anche in età avanzata, spostando in un certo senso l’asticella dell’età più in avanti.

Ma possiamo fermarci a questo? L’età di un uomo è davvero solo legata alla sua produttività? Nella mia convinzione, ovviamente no. Non si può prescindere dalle emozioni. 
Molti giovani oggi si sentono già anziani, ed al contrario un gran numero di adulti non si rassegna a prendersi le proprie responsabilità. Inoltre vanno considerati i casi specifici, come i disoccupati cinquantenni che piangono la loro improduttività, o l’arzilla 70enne che ogni mattina fa la sua passeggiata al parco…

In conclusione, ad oggi la Sfinge avrebbe difficoltà a trovare un moderno Edipo in grado di rispondere al suo quesito. Il massimo che possiamo fare è guardarci dentro e rispondere a noi stessi.
E voi, che età vi sentite?